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Archivio di Stato di Rieti

Gli assetti dell'età moderna

Angelo Sani, Carta della diocesi di Sabina, 1759

In età moderna fu soprattutto la Sabina tiberina a conoscere le evoluzioni politico-amministrative più sensibili, a fronte della relativa stabilità di Rieti e del suo circondario che, dopo la fine dell'esperienza alfaniana, continuavano a gravitare verso Spoleto, tanto da essere aggregati nel 1539 alla legazione di Camerino.

L'area tra la sponda sinistra del Tevere e i monti sabini, che sin dai tempi del passaggio sotto il controllo papale si era trovata in una situazione non molto dissimile da quella dei più immediati dintorni di Roma, fu autorizzata soltanto nel 1520 a fregiarsi del titolo di civitas e della sigla S.P.Q.S. La concessione di Leone X, tuttavia, non bastò a conferire omogeneità amministrativa a un territorio che, al contrario, continuava a essere diviso tra giurisdizioni diverse. La stessa Magliano restò soggetta al comune di Roma e ciò nonostante l'intenzione dello stesso pontefice di affrancarla, mentre per il resto rimanevano in piedi le più svariate baronie. L'unico reale elemento di coesione della Sabina era rappresentato dalla diocesi eretta nel 1495, con sede a Magliano, per volontà di papa Alessandro VI.

Nel 1605 Paolo V istituì il governo di Sabina con centro a Collevecchio, sede fissa del presidente della provincia di Sabina, sopprimendo i vicegerenti, rettori e governatori con sede vagante che fino ad allora avevano stabilito di volta in volta il luogo dove esercitare la giustizia. Il governatore doveva essere un prelato della curia romana. Nel 1646 appartenevano alla provincia numerosi governi: tra questi, località tradizionalmente sabine come Aspra (oggi Casperia), Cottanello, Fianello, Montasola, Montebuono, Monteleone, Monte San Giovanni, Roccantica, Rocchette, Scandriglia, Selci, Stimigliano, Tarano e Torri, rette da giusdicenti nominati dalla Sacra consulta con il titolo di podestà; i castelli di Ornaro, Casaprota, Collelungo, San Polo, Fianello, Castiglione e Cicignano; i luoghi baronali di Roccasinibalda (del duca Braschi), Belmonte, Poggio Mogliano, Pozzaglia, Castelvecchio (oggi Castel di Tora), Petescia, Canemorto (oggi Orvinio, del principe Borghese), Magliano (dei conservatori di Roma), Vacone, Cantalupo, Forano, Montelibretti (del principe Barberini), Corese, Monteflavio, Nerola, Palombara Sabina, Moricone. Vi erano anche alcuni governi appartenuti in precedenza all'Umbria, come Otricoli, Stroncone e Calvi.

La creazione della nuovo provincia era stata resa possibile dal ritorno, a partire dal pontificato di Gregorio XIII, di molti luoghi baronali alla Santa Sede: la stessa Collevecchio era stata recuperata nel 1594, mentre Scandriglia lo fu soltanto nel 1639. Anche l'antica giurisdizione feudale di Farfa venne meno, ma i luoghi ad essa soggetti non furono inclusi nel governo provinciale. I beni e i castelli della fondazione benedettina furono invece riuniti in un governo separato, retto da governatori di nomina papale (così Bocchignano, Castelnuovo di Farfa, Fara, Montopoli, Monte Santa Maria, Poggio Mirteto, Poggio San Lorenzo, Rocca Baldesca, Salisano e Toffia). A Casaprota, da Paolo V in poi, risiedette un governatore togato. Nella cartografia seicentesca e settecentesca il confine meridionale della Sabina giungeva all'Aniene, fino alle porte di Tivoli, inglobando Nerola, Palombara Sabina, Monterotondo, Mentana, San Polo e Vicovaro.

Negli ultimi decenni del XVII secolo anche il castello di Labro, almeno fino al 1655 considerato Umbria e legato a Rieti, passò alla Sabina, che per la prima volta assunse un'identità amministrativa ben precisa nel contesto del Lazio, insieme alle regioni di Marittima e Campagna, definendo la sua contrapposizione al Reatino, vera e propria area di transizione all'Umbria verso nord e all'Abruzzo, ossia al regno napoletano, verso est. Proprio sotto Paolo V si arrivò alla definizione del contenzioso sui confini tra i due stati, stabilendo i limiti del contado di Rieti nei confronti di Monteleone di Spoleto e, soprattutto, di Cittaducale e di Leonessa dalla parte abruzzese.

Nel Settecento l'Umbria perdette gran parte della propria identità amministrativa e Perugia la sua egemonia. Già nel 1716 Rieti acquistò maggiore autonomia recuperando parte dei paesi vicini (per esempio Labro). Il censimento del 1782 sancì il passaggio di Rieti alla Sabina, insieme alle antiche giurisdizioni di Farfa e dell'abbazia di San Salvatore Maggiore. La prima comprendeva gli stessi luoghi soggetti all'abbazia fino a Urbano VIII, tra i quali aveva ormai acquisito importanza Poggio Mirteto, che disponeva di una speciale compagine amministrativa destinata a durare anche nel secolo successivo e che contese con successo a Collevecchio il primato sulla Sabina. La seconda era riuscita a garantirsi una relativa indipendenza grazie all'isolamento geografico e soprattutto alla posizione strategica, una sorta di cuneo all'interno dei confini del regno napoletano che interrompeva perfino l'unità geografica della Valle del Salto con i piccoli centri di Cenciara, San Martino, Concerviano, Pratoianni, Vaccareccia, Rocca Vittiana, Poggio Vittiano, Varco Sabino e Rigatti. Per tale motivo papa Clemente XI tentò di conferire maggiore compattezza a tutta la regione, prefigurando una provincia sabina come quella che successivamente avrebbe cercato di istituire Pio VII. Naturalmente, nel quadro di questo territorio disomogeneo continuarono a sussistere baronie con diversi gradi di autonomia, prima fra tutte quella del castello di Collalto, ritenuta addirittura indipendente dalle regioni circostanti.



Ultimo aggiornamento: 29/02/2024